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L’opportunità di installare un impianto di videosorveglianza presso un condominio è un’idea che trova sempre maggiore interesse. Ovviamente una simile soluzione deve innanzitutto passare attraverso una serie di corrette valutazioni – in primis quelle in materia di privacy – tuttavia l’ampia offerta tecnica e tecnologica oggi disponibile sembra consentire di regola di giungere ad un risultato utile per i condomini e che rispetti le disposizioni normative e regolamentari. Tema quest’ultimo cui evidentemente occorre prestare grande attenzione, come più volte approfondito sulle pagine di questo Giornale, e che oggi vogliamo riprendere sotto un profilo che talvolta crea situazioni di incertezza quando non addirittura di litigiosità: quello delle maggioranze condominiali necessarie ad assumere la decisione.
Premessa infatti la liceità di una soluzione di videosorveglianza nel contesto condominiale, con quali maggioranze l’assemblea potrà deliberare di procedere con l’installazione della stessa? E quali potrebbero essere le “armi” giuridiche a disposizione dei condomini dissenzienti?
Essendo infatti nota la sensibilità della materia condominiale in termini di diritto (e non solo) è opportuno fare chiarezza sul tema in modo da evitare possibili dubbi e contestazioni (magari pretestuose) in sede di esecuzione dei lavori di installazione. Così da non trovarsi di fronte a dubbi in situazioni come quella che stiamo per affrontare insieme…

IL CASO DELLE TELECAMERE CONDOMINIALI
Tutto cominciò quando in condominio si cominciò a discutere dell’opportunità di installare un sistema di videosorveglianza, in particolare alla luce di una serie di sgradevoli eventi verificatisi in zona. Come sempre accade in queste ipotesi, accanto alle posizioni di chi è disposto ad un sereno confronto si vennero a creare anche i gruppi di irriducibili pro o contro tale soluzione. Tizia era senza dubbio il riferimento di coloro che avversavano l’impianto di videosorveglianza: vuoi per l’asserita violazione della privacy, vuoi per i costi di installazione, Tizia non perdeva occasione di contestare l’opportunità di tale installazione.
Finchè non si giunse al giorno dell’assemblea convocata per deliberare sul tema controverso. Nonostante il prevedibile voto contrario di Tizia, la maggioranza dei condomini votò favorevolmente al progetto di installare l’impianto di videosorveglianza, identificando la ditta di installazione cui affidare i lavori e dando mandato all’amministratore per le necessarie incombenze. Ed a questo punto la contesa si trasferì nelle aule di tribunale.

Un “veto” alle telecamere?
Le contestazioni di Tizia si basavano principalmente sull’interpretazione di due profili di diritto. Il primo, di carattere più generale, era relativo all’asserita incompetenza dell’assemblea nel potere deliberare in merito all’installazione di un impianto di videosorveglianza, e comunque al fatto che – a detta di Tizia – le implicazioni in termini di privacy per tutti i condomini sarebbero state tali da richiedere il voto favorevole dell’unanimità dei presenti, non essendo sufficiente la sola maggioranza dei presenti.
Il secondo motivo in termini di legge era più rivolto nel merito dello specifico impianto, dichiarandosi che lo stesso rappresentava una innovazione voluttuaria ed eccessivamente costosa, e pertanto la relativa delibera non avrebbe potuto essere vincolante per i condomini dissenzienti.
Il tema è evidentemente rilevante, in quanto la tesi principale di Tizia (la necessità di un voto unanime dell’assemblea) laddove accolta avrebbe implicato un sostanziale diritto di “veto” in capo al singolo condomino e a dispetto delle scelte della maggioranza.

Telecamere e maggioranze condominiali
Sotto il profilo del diritto, in passato le maggioranze necessarie all’installazione di un sistema dei videosorveglianza condominiale erano state oggetto di acceso confronto. Infatti, a fronte di una parte della giurisprudenza di merito che escludeva la riconducibilità all’approvazione dell’assemblea della decisione di installare un impianto di videosorveglianza relativo alle parti comuni, altre pronunce avevano invece aperto a tale possibilità a condizione che la delibera fosse stata assunta all’unanimità dai condomini con il conseguente perfezionamento di un comune consenso. Una terza e differente impostazione riteneva invece che per la validità della deliberazione fosse sufficiente la maggioranza degli intervenuti in assemblea, facendo riferimento per quanto attinente ai profili di privacy alla giurisprudenza della Corte di Cassazione penale secondo cui l’installazione di una telecamera in un contesto condominiale non integra di per sé gli estremi del reato di cui all’art. 615-bis c.p.
Tale ultima ricostruzione è poi prevalsa in diritto, tanto da essere espressamente recepita anche nella normativa. In sede di riforma del diritto condominiale il legislatore ha introdotto nel Codice Civile l’art. 1122-ter, dedicato in modo specifico al tema della videosorveglianza. In particolare, tale disposizione prevede che “Le deliberazioni concernenti l’installazione sulle parti comuni dell’edificio di impianti volti a consentire la videosorveglianza su di esse sono approvate dall’assemblea con la maggioranza di cui al secondo comma dell’articolo 1136.” Per inciso, detta maggioranza è quella che si riferisce agli intervenuti in assemblea e che rappresenti almeno la metà del valore dell’edificio.
In altri termini, per espressa disposizione di legge l’installazione dell’impianto di videosorveglianza nel condominio è di competenza assembleare e può essere deliberata a maggioranza, non richiedendosi pertanto l’unanimità dei voti.

La videosorveglianza è voluttuaria?
Risolto il problema della maggioranza assembleare, resta da affrontare la seconda doglianza di Tizia, vale a dire il carattere voluttuario o gravoso dell’impianto di videosorveglianza.
In questo caso il tema cambia rispetto al precedente per quanto attiene gli effetti giuridici: se contestando la validità della delibera assembleare in termini di maggioranza Tizia cercava di colpire integralmente la fattibilità dell’installazione stessa (pertanto in un’ottica on/off), la valutazione di quest’ultima in termini di pretesa voluttà incide invece sulla possibilità per il singolo di sottrarsi alle relative spese (l’obiettivo di Tizia diviene pertanto che il sistema possa essere installato ma lei non lo debba pagare).
La norma di riferimento in questo caso è l’art. 1121 c.c., laddove prevede al primo comma che “Qualora l’innovazione importi una spesa molto gravosa o abbia carattere voluttuario rispetto alle particolari condizioni e all’importanza dell’edificio, e consista in opere, impianti o manufatti suscettibili di utilizzazione separata, i condomini che non intendono trarne vantaggio sono esonerati da qualsiasi contributo nella spesa.”
Per dare una risposta al quesito occorre di conseguenza una valutazione strettamente di merito con riferimento al caso specifico., anche in virtù del riferimento della norma alle particolari condizioni e all’importanza dell’edificio (si noti che l’onere della prova di tali estremi grava sul condomino). Tuttavia, in assenza di elementi concreti relativi alle particolari condizioni dell’edificio che possano portare a ritenere un impianto di videosorveglianza quale scarsamente utile od eccessivamente gravoso, tale doglianza non risulta ammissibile. Del resto, appare difficile considerare un normale impianto di videosorveglianza alla stregua di un “capriccio” condominiale, essendo evidenti le finalità di sicurezza comune che esso è volto a garantire.
Con la conseguenza che non solo l’impianto di videosorveglianza potrà essere realizzato, ma che Tizia dovrà sopportarne le spese pro quota come tutti gli altri condomini.

La Massima
E’ opportuno trarre una massima dal caso sopra descritto, che valga ad evitare possibili contestazioni pretestuose da parte di singoli condomini, magari infastiditi da un’ipotetica intromissione nella propria privacy ovvero dal dovere sopportare spese relativamente all’installazione dell’impianto. E a tale scopo ci avvaliamo dell’aiuto della Corte di Cassazione ed in particolare di una sua recente pronuncia (v. sub Approfondimenti): “In un condominio, le deliberazioni concernenti l’installazione su parti comuni di impianti volti a consentire la video sorveglianza di esse sono approvate dall’assemblea con la maggioranza di cui all’art. 1136, comma 2, c.c.”

APPROFONDIMENTI
Il caso è liberamente ispirato a Cassazione Civile, Sez. II, Ordinanza n. 14969 del 11 maggio 2022.

Autori:

avv. Tommaso E. Romolotti
avv. Laura Marretta