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Quando l’installatore risponde del mancato operato?

Vi possono essere svariate motivazioni per cui un’opera commissionata all’installatore resti nei fatti incompleta. Purtroppo le recenti esperienze dimostrano che accanto a criticità ben conosciute quali il mancato pagamento da parte del committente, se ne affiancano ora altre attribuibili a carenze di manodopera, aumento dei costi, discussioni (talvolta estenuanti) con il committente… in ogni caso, nel momento in cui l’installatore ha assunto un incarico di regola ci si attende che questo venga completato secondo la regola dell’arte, e del mancato adempimento dovrà pertanto assumersi le responsabilità.
Ma se i vizi sono eccepiti dal committente dopo un considerevole lasso di tempo dalla consegna del lavoro (sebbene incompleto), quali saranno le disposizioni di legge applicabili anche in termini di garanzia? E’ necessario che l’installatore abbia assolutamente chiari i termini del problema, anche al fine di evitare di incorrere in serie criticità come accadde ne…

IL CASO DELL’OPERA INCOMPLETA
Si prenda l’avvio dal contratto di appalto con il quale la Tizio Srl aveva incaricato una società di installazione di realizzare un impianto elettrico presso i propri locali. I lavori cominciavano di buona lena, tuttavia dopo poco tempo il ritmo nell’esecuzione rallentava al pari dell’intensità della relazione con il committente, fino al momento in cui l’appaltatore dichiarava univocamente conclusa l’attività procedendo di conseguenza ad emettere la relativa fattura e lasciando il cantiere. A fronte del mancato pagamento, dopo avere atteso per un considerevole lasso di tempo l’installatore chiedeva ed otteneva emissione di decreto ingiuntivo per l’intero ammontare dell’appalto – cui seguiva tempestivamente l’opposizione del committente, il quale eccepiva la non esecuzione a regola d’arte ed il mancato completamento delle opere oggetto di appalto, chiedendo inoltre in via riconvenzionale il risarcimento del danno subìto (rammentiamo qui che di regola la garanzia dovuta dall’appaltatore prevede che il committente possa chiedere che le difformità o i vizi siano eliminati a spese dell’appaltatore oppure che il prezzo sia proporzionalmente diminuito, salvo il risarcimento del danno, come da art. 1668 Cod. Civ.).
E da questa opposizione derivano importanti considerazioni in diritto che si riveleranno cruciali per definire l’esito dell’azione avviata dall’installatore.

Termini per la denuncia del vizio e prescrizione dell’azione
Si è detto che tra la riconsegna (o abbandono?) del cantiere e l’azione da parte dell’appaltatore per ottenere il pagamento è trascorso un periodo di tempo ragguardevole. Potrebbe questo fatto avere un riflesso sulla possibilità del committente di presentare le proprie eccezioni e – soprattutto – la domanda per il risarcimento del danno?
L’appaltatore potrebbe infatti rammentare il disposto di cui all’art. 1667 Cod. Civ. in tema di vizi occulti, il cui secondo comma prevede che il committente deve, a pena di decadenza, denunziare all’appaltatore le difformità o i vizi entro sessanta giorni dalla scoperta. Non solo: il termine di prescrizione dell’azione contro l’appaltatore previsto dal terzo comma dell’articolo medesimo è di due anni dal giorno della consegna dell’opera, sebbene il committente convenuto per il pagamento possa sempre far valere la garanzia se i vizi erano stati denunciati entro sessanta giorni dalla scoperta e prima che siano decorsi i due anni dalla consegna.
Ora, in caso di applicabilità della norma sopra indicata, è evidente che il committente avrebbe lasciato trascorrere quantomeno i termini decadenziali per la denuncia dei vizi (60 giorni) perdendo così diritto all’azione.
La replica del committente potrebbe invece fondarsi sul principio in base al quale i termini decadenziali e prescrizionali sopra indicati si riferiscono ai vizi occulti, vale da dire a quelle difformità che emergono successivamente alla consegna dell’opera da parte dell’appaltatore. Nel caso di specie, tuttavia, non vi sarebbe stata alcuna consegna dell’opera stessa: infatti il committente lamenta proprio il mancato completamento dell’opera – e conseguentemente l’inapplicabilità del termine di decadenza indicato.
La recente giurisprudenza sembra propendere per la posizione del committente. Si è osservato infatti che se l’inadempimento ascritto all’appaltatore consiste non tanto nella semplice imperfetta realizzazione dell’opera a causa della presenza di vizi o difetti, ma nel mancato completamento dell’appalto ed anticipato abbandono del cantiere, non possono trovare applicazione le norme di cui agli artt. 1667 e 1668 Cod. Civ. in tema di garanzia per vizi e difformità delle opere, in quanto queste richiedono necessariamente il totale compimento dell’opera – dovendosi invece fare riferimento alla disciplina generale per cui il committente può rifiutare l’adempimento parziale oppure accettarlo secondo la sua convenienza. Principio da cui discende la necessità in questo caso di considerare applicabile al diritto al risarcimento dei danni nei confronti dell’appaltatore il termine di prescrizione in generale (dieci anni) piuttosto che il termine biennale di cui all’art. 1667 Cod. Civ.
L’appaltatore dovrà pertanto prepararsi a giustificare il proprio operato, anche in considerazione delle norme relative all’onere della prova.

Onere della prova tra appaltatore e committente: a chi spetta?
Anche questo tema è particolarmente delicato: a fronte della contestazione del committente, l’appaltatore che intenda ottenere ottenere il pagamento dell’importo azionato dovrà dimostrare di aver adempiuto la propria obbligazione e di aver eseguito l’opera conformemente al contratto ed alla regola dell’arte.
Il committente in questo caso ha infatti sollevato quella che tecnicamente viene definita eccezione di inadempimento (disciplinata dall’art. 1460 Cod. Civ.) per cui nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti puo’ rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria (salvo che le parti avessero stabilito termini diversi per l’adempimento o comunque risultino dalla natura del contratto, e non potendosi in ogni caso rifiutare l’esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, detto rifiuto sia contrario alla buona fede). E’ infatti opinione della giurisprudenza che se il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvale dell’eccezione di inadempimento della controparte, questi può limitarsi ad allegare detto inadempimento, restando gravato così il creditore dell’onere di dimostrare di aver adempiuto correttamente alle proprie obbligazioni. Il che vale a dire che con riferimento al caso qui in analisi mentre il committente, nell’eccepire l’inadempimento non è a tenuto a fornire prova di quali opere non fossero state correttamente realizzate, potendosi limitare ad allegare l’inadempimento: sarà pertanto di competenza dell’installatore dimostrare di aver eseguito integralmente i lavori per poterne ottenere il pagamento del prezzo residuo.

La massima
Ispirandoci alla giurisprudenza della Corte di Cassazione possiamo trarre la massima che fornisce la soluzione a quanto sopra descritto: “in caso di omesso completamento dell’opera, e qualora questa, per la parte eseguita, risulti difettosa o difforme, non può farsi applicazione delle norme in tema di garanzia per vizi e difformità delle opere di cui agli artt. 1667 e 1668 c.c., che richiedono necessariamente il totale compimento dell’opera ma, in applicazione della disciplina generale, il committente può rifiutare l’adempimento parziale oppure accettarlo secondo la sua convenienza e,. anche se la parziale esecuzione del contratto sia tale da giustificarne la risoluzione, può trattenere la parte di manufatto realizzata e provvedere direttamente al suo completamento, essendo, poi, legittimato a chiedere in via giudiziale che il prezzo sia proporzionalmente diminuito e, in caso di colpa dell’appaltatore, anche il risarcimento del danno

APPROFONDIMENTI
Per approfondimenti sul tema dell’applicabilità dei termini prescrizionali brevi nei contratti d’appalto, si veda – inter alia – Cass. Civ., sez. 2, Ord. 7861 del 19 marzo 2021, cui è liberamente ispirato il caso descritto.

Avv. Tommaso Romolotti

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