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Proponiamo di seguito la lettera di Agostino Re Rebaudengo, presidente assoRinnovabili e di Emilio Cremona, presidente GIFI, in cui le due associazioni illustrano la loro posizione sulla Legge 21 febbraio 2014, n. 9:

“assoRinnovabili e Gifi desiderano illustrare, unitamente ad alcune considerazioni preliminari, la propria posizione sulla disciplina della rimodulazione degli incentivi per gli impianti a fonti rinnovabili di cui all’articolo 1, commi 3-6 della legge 21 febbraio 2014, n. 9.

1. In primo luogo, le Associazioni ritengono che, anziché proseguire sulla strada della rimodulazione degli incentivi, sia molto più ragionevole e soprattutto vantaggioso per il sistema Paese, valutare altre opzioni, come ad esempio la via della cartolarizzazione degli incentivi attraverso l’emissione di obbligazioni del GSE a copertura di parte degli oneri dell’A3, ipotesi considerata dal precedente Governo e su cui assoRinnovabili e Gifi si erano espresse con un giudizio pienamente favorevole, sia per l’impatto che avrebbe sulle bollette sia perché non porrebbe gravose contropartite a carico dei produttori.
Peraltro, avrebbe il pregevole e condivisibile scopo di far diminuire il costo dell’energia elettrica in misura nettamente più elevata rispetto alla rimodulazione prevista dal cd. “spalma incentivi”.

2. Sarebbe altresì assolutamente deleteria e pericolosa per la credibilità internazionale del sistema Paese una misura di rimodulazione degli incentivi avente carattere di obbligatorietà, così come ventilato da alcuni quotidiani nazionali nelle ultime settimane.

3. Per quanto riguarda la norma cd. “spalma incentivi” ad oggetto della presente, le Associazioni ritiene che sussistano molte criticità, che si andranno a descrivere di seguito.
Come noto, la norma prevede che i produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili titolari di impianti che accedono agli incentivi ante DM 6 luglio 2012, possano, per i medesimi impianti, in misura alternativa:

a) continuare a godere del regime incentivante spettante per il periodo di diritto residuo.
In tal caso, per un periodo di dieci anni decorrenti dal termine del periodo di diritto al regime incentivante, interventi di qualunque tipo realizzati sullo stesso sito non hanno diritto di accesso ad ulteriori strumenti incentivanti, incluso ritiro dedicato e scambio sul posto, a carico dei prezzi o delle tariffe dell’energia elettrica;

b) optare per una rimodulazione dell’incentivo spettante, che viene ridotto di una percentuale differenziata per tipologia di impianto e meccanismo incentivante, nonché per durata del periodo residuo di incentivazione.
Tale riduzione si applica per un periodo rinnovato di incentivazione pari al periodo residuo dell’incentivazione spettante alla medesima data incrementato di 7 anni e tiene conto dei costi indotti dall’operazione di rimodulazione degli incentivi, incluso un premio adeguatamente maggiorato per gli impianti per i quali non sono previsti, per il periodo successivo a quello di diritto al regime incentivante, incentivi diversi dallo scambio sul posto e dal ritiro dedicato per interventi realizzati sullo stesso sito.
Allo scopo di salvaguardare gli investimenti in corso, viene inoltre previsto un periodo residuo di diritto agli incentivi entro il quale non si applica la penalizzazione prevista alla lettera a).
La legge fissa in prima istanza che tale periodo residuo non può comunque scadere prima del 31 dicembre 2014 e che possa essere differenziato per ciascuna fonte, per tener conto della diversa complessità degli interventi medesimi. La disciplina attuativa del meccanismo è demandata ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, con parere dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas che dovrebbe essere adottato entro il 22 aprile 2014 (60 giorni dall’entrata in vigore della norma).
Le Associazioni ravvisano, in primo luogo, che il meccanismo così delineato comporta seri problemi applicativi che rendono l’opzione poco appetibile e quindi destinata ad avere scarso successo, vanificando il pur apprezzabile intento della riduzione degli oneri annuali gravanti sulla bolletta elettrica. Nella definizione delle percentuali di cui al punto b) sussistono infatti diversi profili di criticità, non facilmente risolvibili:

Innanzitutto dovrà essere rispettato un criterio di indifferenza finanziaria, in base al quale il Valore Attuale Netto (VAN) e il Tasso Interno di Rendimento (TIR) di ogni singolo investimento non dovranno subire variazioni; data l’elevata casistica di impianti interessati e di elementi da considerare (come ad esempio il naturale tasso di degrado prestazionale degli impianti), tale operazione si presenta sicuramente molto complessa, se non addirittura inapplicabile;

Vi è poi una serie di difficoltà oggettive in relazione all’assetto autorizzatorio, contrattuale e finanziario delle iniziative:

i. titoli abilitativi alla costruzione ed esercizio degli impianti e allo sfruttamento della fonte energetica: nonostante il tentativo di semplificazione e razionalizzazione avviato nel 2003 con il d.lgs. n. 387, è purtroppo noto che oggi occorrono nella maggior parte dei casi più di 30 pareri positivi per avviare la costruzione degli impianti e che i relativi procedimenti non si concludono quasi mai entro il termine stabilito dalla legge.
L’adesione al meccanismo di rimodulazione comporterebbe in molti casi la necessità di intervenire sui titoli abilitativi per consentire la prosecuzione dell’attività di produzione, con ogni conseguenza in termini di alea circa la positiva e tempestiva conclusione dei procedimenti.
Si consideri, inoltre, che in alcuni casi la realizzazione degli impianti consegue all’espletamento di una procedura concorsuale per la concessione dello sfruttamento della risorsa energetica (si pensi all’idroelettrico, ma anche al biogas da discarica), concessione che dovrebbe essere rinnovata e il cui rinnovo, data la delicatezza degli interessi pubblici in gioco, non è automatico.

ii. contratti di utilizzo dei suoli: l’accesso alla rimodulazione, poi, porrebbe un serio problema legato alla necessaria rinegoziazione dei contratti di utilizzo dei suoli su cui sono ubicati gli impianti che, di regola, hanno una durata pari a quella degli incentivi e che, talvolta, è imposta dagli istituti di credito.
La rinegoziazione “necessitata” di tali contratti, come minimo esporrebbe i produttori a ricatti contrattuali ed economici da parte dei proprietari delle aree ma potrebbe anche non andare a buon fine.

iii. contratti di finanziamento delle iniziative: ovviamente l’opzione per la modulazione porta come inevitabile conseguenza la rinegoziazione dei contratti di erogazione dell’originario finanziamento per la realizzazione dell’iniziativa energetica. Oltre all’entità dei corrispettivi per la sola procedura di rinegoziazione (fino a 50.000 € per iniziativa), è prevedibile che gli istituti di credito impongano condizioni particolarmente gravose (e, dunque, inaccettabili) per la modifica dei contratti in essere (ad esempio alzando lo spread sul tasso di finanziamento preso a riferimento). Inoltre, per gli investimenti in project financing, tipicamente a tasso variabile, le banche richiedono la sottoscrizione di un contratto swap per rendere il tasso fisso ed evitare oscillazioni di interessi nel tempo.

Poiché rimodellare gli incentivi significa rimodellare il finanziamento e rimodellare il finanziamento implica la “rottura” dello swap, emerge un tema relativo ai costi connessi che dovrà pagare l’investitore o in alternativa l’istituto finanziario (con ricadute molto importanti sul sistema creditizio) o lo Stato/componente A3 (con impatti ugualmente molto significativi). Infine, quando le banche finanziano in project o leasing ovviamente fanno provvista sul mercato con durata equivalente.

Dal 2010 ad oggi i mercati sono molto cambiati e non è per nulla scontato che le banche riescano ad allungare il tempo della provvista, e comunque anche qualora ce la facessero sarebbe in rottura di molti parametri patrimoniali. Per quanto riguarda, in secondo luogo, il periodo di esenzione dalla penalizzazione prevista, si ritiene fondamentale considerare una salvaguardia ragionevole, con periodi residui di incentivazione pari ad almeno 4 anni entro i quali non applicare la penalizzazione stessa. Un incremento di 7 anni di un periodo residuale breve infatti, non andrebbe nella direzione designata di salvaguardia degli investimenti in corso.
Infatti, nella maggior parte dei casi, all’approssimarsi dello scadere del periodo di incentivazione gli operatori programmano gli interventi necessari (rifacimenti, potenziamenti, ricostruzioni) per il rinnovo tecnologico degli impianti, attivando al contempo l’intero processo di progettazione e autorizzazione, che, come noto, ha durate spesso aleatorie e difficilmente comprimibili.

In merito a tali interventi è bene ricordare, inoltre, come permettano al paese di aumentare l’efficienza del proprio parco produttivo, producendo energia rinnovabile ad un costo minore e ad impatto ambientale nullo (in diversi casi vengono addirittura migliorate le prestazioni ambientali degli impianti), oltre a perseguire l’obiettivo di indipendenza energetica, tema tornato di grande attualità con la crisi ucraina.

I benefici sono infine evidenti anche sotto altri profili: solo per dare una stima, gli investimenti cumulati negli ultimi 10 anni, secondo il Bollettino qualifiche IAFR 2012 del GSE, interessano quasi 1.000 impianti e hanno superato i 9 miliardi di euro, con ritorni evidenti per la collettività in termini di PIL e occupazione generati direttamente e nell’indotto, nonché delle entrate fiscali correlate (IVA, IRES, IRPEF, accise ecc.).
Le Associazioni ritengono che un possibile strumento di attrattività per gli operatori possa essere quello di garantire loro un valore minimo di retribuzione per gli impianti dato dalla somma del minor incentivo riconosciuto e dalla valorizzazione dell’energia. Nell’incertezza futura sull’andamento della domanda elettrica ed in maggior misura sul prezzo dell’energia, appare, infatti, ragionevole poter modulare il decalage dell’incentivo proprio in funzione dell’andamento del prezzo dell’energia.
Non potendo, infatti, intervenire direttamente sul prezzo di mercato dell’energia, è ipotizzabile una rimodulazione degli incentivi in un’ottica maggiormente flessibile, individuando delle percentuali di riduzione – differenziate per tipologia di fonte e fasce di potenza degli impianti – variabili al diminuire del prezzo dell’energia. In altri termini, si tratta di inserire nell’ordinamento una misura di salvaguardia, valore floor, per i produttori aderenti allo spalma incentivi.
Un simile meccanismo troverebbe applicazione solo nell’ipotesi in cui la somma tra il minor incentivo riconosciuto ed il prezzo dell’energia risulti inferiore alla soglia economica di sopravvivenza degli impianti, data dai costi di funzionamento e di O&M degli stessi.
Sarebbe fondamentale inoltre definire fin da oggi una serie di strumenti di sostegno per gli interventi di potenziamento, ricostruzione e rifacimento, che, come già ricordato portano indubbi vantaggi sotto diversi profili, da potersi effettuare al termine del periodo di diritto residuo “prolungato”, al fine di permettere agli operatori di effettuare una scelta ponderata e consapevole, eliminando la componente di incertezza presente ad oggi su eventuali future forme di incentivazione per simili interventi.
Gli strumenti di sostegno scelti potrebbero avere varia natura, da incentivi su energia prodotta a seguito di interventi di potenziamento, ricostruzione e rifacimento, a forme di defiscalizzazione o agevolazione fiscale, fino alla detassazione degli investimenti effettuati. Si riportano, infine, di seguito alcuni ulteriori suggerimenti, per tener conto della peculiarità di ciascuna fonte interessata.

Bioenergie
Nella specificità della fonte bioenergie, affinché l’obiettivo della norma venga perseguito, occorre che nella proposta del floor di salvaguardia e in generale della riduzione della quota di incentivo si tenga conto dei costi operativi che la produzione di energia elettrica da tale fonte presenta: il costo dovuto all’approvvigionamento della materia prima utilizzata, che differenzia le bioenergie da tutte le altre fonti rinnovabili e che consente la programmabilità nella produzione di energia, e i costi legati all’occupazione necessaria alla gestione di questi impianti complessi e a ciclo continuo.
L’entità dell’incentivo è normalmente dimensionata per coprire anche tali voci che, per questa particolare tecnologia, hanno una forte incidenza sui costi totali di esercizio, ed una sua eccessiva o non ponderata riduzione potrebbe rendere economicamente insostenibile la gestione ed il funzionamento stesso dell’impianto, soprattutto nei casi di impianti di minori dimensioni. D’altra parte, anche l’alternativa obbligatoria sospensione di qualunque opera di rifacimento per un periodo di 10 anni starebbe a significare l’inevitabile chiusura dei siti produttivi, che di regola vedono svolta quest’unica attività, con la messa in mobilità di svariate decine di persone per ogni sito, senza computare le conseguenze sull’immediato indotto: filiere di coltivazione, mercato strutturato di raccolta e conferimento di scarti industriali e agroforestali.

Idroelettrico
Per quanto concerne la proposta del floor di salvaguardia, va modellizzata ricordando anche per l’idroelettrico che i costi di O&M per gli impianti idroelettrici sono fortemente variabili e in generale sensibilmente più alti per impianti di taglia ridotta. Inoltre per gli impianti idroelettrici, come già detto, esiste un potenziale ostacolo legato alla durata della concessione rilasciata che potrebbe in diversi casi confliggere con un allungamento dei termini di incentivazione. Per rendere effettivamente possibile la scelta della rimodulazione si dovrebbe prevedere un riallineamento dei termini di incentivazione e di fine concessione in tutti i casi in cui la scadenza della concessione sia precedente al termine del periodo di incentivazione così come prolungato dalla disposizione.

Eolico
Per l’eolico non vi sono particolari considerazioni ulteriori da svolgere – in virtù della tipologia di fonte considerata – potendosi ivi richiamare le problematiche di carattere più generale, di cui alle premesse del presente documento, nonché le considerazioni svolte per le bioenergie e la fonte idroelettrica, inerenti il rapporto tra potenza impianto e costi di produzione.

Fotovoltaico
Anche per il fotovoltaico non si ravvisano elementi di specificità da sottolineare oltre a quanto già riportato nella prima parte di questo documento. Vale la pena aggiungere che per un produttore fotovoltaico il regime di “spalmatura” proposto risulterà di interesse pressoché nullo, dal momento che, a differenza delle altre fonti, non sussiste ad oggi (ma molto probabilmente anche in futuro) la possibilità di usufruire di regimi incentivanti per investimenti in rifacimenti, ricostruzioni o potenziamenti”.