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Un consulente esterno ci ha consigliato di alzare un po’ la tensione sul secondario del nostro trafo di stabilimento, portandola a circa 410 V, affermando che con questa semplice operazione, a costo zero, si ottiene un piccolo risparmio energetico sui consumi abbassando la corrente e quindi l’effetto joule sui conduttori. E’ esatto quanto è stato affermato?
Nel caso dovessimo provvedere a tale operazione, un possibile effetto collaterale negativo potrebbe essere una eccessiva tensione sul secondario se il distributore dovesse aumentarla a sua volta sul primario entro i limiti consentiti?
In generale, che tensione è consigliabile avere sul secondario? I 400 V canonici?

Ciro Scalera

Considerando il dimensionamento delle condutture a regola d’arte e il rispetto del valore massimo di caduta di tensione consigliato pari al 4% (vedasi art. 525 Norma CEI 64-8/5), l’aumento del valore della tensione a vuoto (in assenza di carico) come prospettato non danneggia gli apparecchi utilizzatori che hanno una tolleranza pari a +/- 10% del valore della tensione nominale e porta certamente a modesti vantaggi economici in rapporto al dimensionamento effettuato.
Considerando che il valore della tensione al primario è regolabile con gradini di valore +/- 2 x 2,5%, quanto proposto può essere considerato accettabile.
Rimane da valutare se l’aumento della tensione nominale è eseguito sul valore della tensione a carico ovvero nella condizione di erogazione della corrente nominale dei diversi circuiti.
Per i valori di tensione delle reti pubbliche ci si deve riferire alla Norma CEI EN 50160 “Caratteristiche della tensione fornita dalle reti pubbliche di distribuzione dell’energia elettrica”.