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[ Abbiamo ricevuto, e pubblichiamo, il seguente contributo dell’Ing. Giancarlo Tedeschi, sulla scelta degli interruttori a valle dei trasformatori MT/bt. L’argomento è stato inserito nel documento CEI C.1258 (modifiche alla 64-8) attualmente in inchiesta pubblica N.d.R.]

Il problema, che proponiamo di approfondire, riguarda l’annosa questione che vede non corretta la scelta che molto spesso viene fatta di interruttori destinati ad equipaggiare i quadri elettrici principali posti immediatamente a valle dei trasformatori di potenza nelle cabine di trasformazione MT/BT.
Ad esempio gli interruttori più potenti sono oggi provati dai costruttori e sono garantiti, secondo le norme applicabili, per aperture e chiusure su correnti di corto circuito, che presentano nominalmente un cosfi rispetto alla tensione che alimenta il guasto pari a 0,2 e non inferiore. Un tale valore risulta da molti anni obsoleto, in quanto i valori che si riscontrano nelle situazioni sopra richiamate sono oggi molto spesso ben inferiori. Le norme in vigore nel mercato nordamericano ( UL, CSA ) più lungimiranti prevedono per gli interruttori più potenti un cosfi di prova pari a 0,15.
Poiché le sollecitazioni, cui l’interruttore automatico è sottoposto sia in apertura ( energia da dissipare nella camera di estinzione ), sia in chiusura ( sollecitazioni elettrodinamiche, rimbalzo dei contatti, .. ) dipendono dal valore del cosfi, ne consegue che, per utilizzare l’interruttore nelle condizioni fuori standard, solo il costruttore può autorizzare l’utente ad installarlo in un quadro, per il quale è prevista una corrente di cortocircuito presunta con cosfi inferiore a quello di prova.
In Italia, secondo le norme vigenti, per quanto risulta dalla nostra consultazione, solo il costruttore può declassare l’interruttore nel suo potere di interruzione per l’aspetto sopra richiamato, in virtù di sue conoscenze, studi, prove e altro. Al momento tale declassamento risulterebbe non standardizzato.
L’installazione risulterebbe comunque a regola d’arte e tutti ne risponderebbero secondo le rispettive competenze.
Ne consegue che ogni volta che il progettista e/o il quadrista dovessero operare nelle predette condizioni, cioè ad esempio per i quadri elettrici posti immediatamente a valle dei trasformatori di potenza MT/BT ( e non solo ! ), se ne dovrebbe chiedere l’autorizzazione ai costruttori.
Questi, peraltro ben a conoscenza del problema, hanno fatto in proposito fino a ieri orecchi da mercante, lasciando in prima battuta ogni responsabilità in caso di contestazione, di incidenti e di risarcimento per danni diretti e indiretti sulle spalle dei loro clienti, spesso ignari utenti del problema.
Fino ad oggi imbarazzante sulla situazione è stato anche il silenzio del CEI e delle norme CEI, quest’ultimo peraltro ufficialmente già prospettato presso l’ente molti anni fa con una lettera apparsa sulla rivista AEIT.
Messo alle strette il CEI si propone finalmente di porre un primo rimedio alla situazione e lo ringraziamo.

Nella bozza di norma CEI 64-8, oggi in fase di inchiesta pubblica ( scadenza giugno 2020 ), si prevede di implementare il testo dell’articolo 553.3.2, che riguarda la scelta degli interruttori e tratta le caratteristiche dei dispositivi di protezione contro i cortocircuiti, inserendo un corrispondente articolo nella parte “Commenti”. Si deve osservare come i normatori non abbiano il coraggio di intervenire direttamente nel testo della norma e ciò testimonia il disagio con il quale i costruttori stanno cercando di risolvere il problema nel quale si trovano coinvolti.

L’art. 553.3.2 della norma, oltre ad altro che qui non interessa, sobriamente chiede: Il potere di interruzione non deve essere inferiore alla corrente di cortocircuito presunta nel punto di installazione. ……… “.
La proposta di implementazione consiste nell’inserimento in corrispondenza dell’articolo di norma del seguente commento 553.3.2 ( testo in corsivo ).

“Gli apparecchi di protezione per la protezione dal corto circuito devono essere conformi ai requisiti delle norme CEI che trattano interruttori automatici e fusibili, ma deve essere tenuto in considerazione anche, che le condizioni di installazione negli impianti possono essere diverse da quelle previste in quelle norme, in particolare con riferimento a:
– Il fattore di potenza della corrente di corto circuito, in un sistema a corrente alternata in un impianto, può essere inferiore a 0,2, valore minimo previsto dalle norme di prodotto (Interruttori) per la prova di corto circuito in apertura;
– La riduzione della componente AC e DC della corrente di corto circuito.
La conseguenza è che il rapporto tra il potere d’interruzione nominale limite di corto circuito Icu ed il potere di chiusura nominale in cortocircuito Icm corrispondente, nelle normali condizioni dei sistemi di distribuzione può essere inadeguato. In questi casi, gli interruttori automatici devono essere scelti in base al loro potere di chiusura Icm potere di chiusura nominale in cortocircuito. (short-circuit making capacity), anche se il loro potere d’interruzione nominale, riferito alle condizioni normali, può risultare superiore a quello richiesto dalla effettiva applicazione.
“Si suggerisce inoltre di interloquire con il costruttore dell’apparecchiatura per avere maggiori informazioni”.

I normatori, a nostro avviso sbagliando, cercano in ritardo di porre riparo alla denuncia che da anni presentiamo, per la quale si può constatare la continua realizzazione di impianti nominalmente non sicuri, ponendo una toppa un po’ grossolana: l’inserimento del nuovo commento, per noi zoppicante, nel testo della norma.
Il recepimento della segnalazione di pericolo è comunque una indicazione positiva, in quanto nella norma appare per la prima volta, anche se ancora indirettamente, almeno l’invito all’utente di “interloquire” con i costruttori dell’“apparecchiatura” per avere maggiori informazioni e quindi per ridurre il rischio.
Per inciso però fin da subito ci permettiamo di fa osservare che:
1) l’ultimo pensiero del nuovo articolo 553.3.2 di commento inserito sintetizza abbastanza bene la situazione, nel senso che la breve nota sembra voler dire “poiché quanto nella parte iniziale di questo articolo abbiamo scritto non chiarisce bene perché il progettista o il quadrista debba guardare, come chiede la conclusione, solo al potere di chiusura e non anche il potere di apertura, visto che la norma sulla costruzione degli interruttori distingue chiaramente che entrambe le prove di apertura e di chiusura devono entrambe essere eseguite per definire il comportamento dell’interruttore nelle due azioni ben distinte, è bene che l’utente si consulti con il costruttore”;
2) il progettista o il quadrista certamente si chiederà perché “quelle maggiori informazioni”, cui nella nota si allude, non sono state date e non vengono esposte con chiarezza a beneficio di tutti nei manuali di scelta che i più importanti costruttori di interruttori hanno sempre messo a disposizione;
3) sinceramente non è facilmente giustificabile il peso delle precisazioni introdotte nella parte iniziale del commento relativamente alle “ condizioni di installazione negli impianti”, che possono essere diverse da quelle previste nella norma, ai fini della soluzione del problema che ci si pone; restiamo in proposito in attesa di lumi tanto nei manuali di scelta che i costruttori certamente metteranno in un prossimo futuro a disposizione, quanto negli incontri tecnici, in cui i costruttori sono soliti anticipare, anche in genere giustificandoli, i contenuti dei nuovi già previsti disposti normativi;
4) il problema, di cui si tratta, non deve essere riferito solo alle situazioni diffusissime che vedono nelle cabine MT/BT correnti di cortocircuito presunte con cosfi inferiori a 0,2, cui sembra in modo fuorviante alludere il commento, che all’approvazione viene presentato ; il problema è più ampio; porto un solo esempio, tra i tanti possibili: erano presenti e sono credo ancora presenti sul mercato interruttori da 125 A, di minor costo e di limitato potere di interruzione, posti a valle di trasformatori MT/BT di minor potenza per i quali il cosfi di riferimento inferiore a 0,2 risultava e risulta comunque inadeguato in relazione a quello della specifica corrente di cortocircuito presunta.
Ci permettiamo anche di proporre due osservazioni in questo caso di puro dettaglio, che possono risultare utili per definire e quasi toccare con mano la qualità dei documenti, che, a nostro avviso con poco rispetto degli utenti della norma, in più occasioni vengono proposti:
– il termine “interloquire” inserito alla fine del testo del commento non è forse il verbo più adatto per rappresentare la situazione, sia per la connotazione negativa che magari impropriamente gli si può attribuire, sia per il carattere solo informativo che dovrebbe caratterizzare il contatto;
– se l’interlocutore, cui il progettista/quadrista deve rivolgersi, è il costruttore degli interruttori, questi si devono definire “apparecchi”; gli interruttori non possono definirsi “apparecchiature”.
Dal punto di vista pratico secondo il nostro parere la soluzione al problema ad oggi si presenta nei termini, che di seguito descriviamo.
La soluzione più corretta e più sicura al problema prevede di chiedere ai costruttori di dare di volta in volta la loro autorizzazione scritta all’utilizzo in condizioni fuori standard degli interruttori. Si tratta di una situazione/condizione gravosa, ma è l’unica che nelle attuali condizioni sembra percorribile e che risolve alla radice ogni problema, in particolare, per quanto più ci preme, in termini di responsabilità dei progettisti e dei quadristi. Più in là nel tempo i costruttori potranno/dovranno per rispetto dei loro clienti mettere a punto delle tabelle di declassamento del potere di interruzione degli apparecchi, tabelle da sempre in uso nel mercato nordamericano. Tali tabelle avranno certamente fondamento in una logica di studi, valutazioni, controlli e prove di laboratorio, che solo ai costruttori possono far capo e che in futuro potranno trovare giustificazione e posto nelle stesse norme tecniche, che con ciò risulteranno adeguate alle più moderne realtà impiantistiche.
Una bozza di soluzione fai da te, che noi al momento non ci sentiamo di giustificare/approvare, in quanto non codificata né dalla norma tecnica ufficiale, né dai costruttori di interruttori, che nei loro cataloghi hanno addirittura eliminato da molti anni a questa parte il cosfi di riferimento da associare ai poteri di interruzione, è stata timidamente e un po’ in sordina inserita nella guida ( non norma ! ) CEI 121-5, a pag. 164 ( la quint’ultima pag. del documento ), in cui compare la “Domanda n. 15” con la relativa risposta. Tale soluzione a nostro avviso non è del tutto giustificata e le ragioni, cui abbiamo più sopra solo accennato, potranno in futuro essere esposte.
Comunque se la soluzione che la guida CEI 121-5, si spera con qualche giustificazione più consistente di quella un po’ banale e semplicistica che sembra cogliersi leggendo il testo della sua domanda-risposta n. 15, fosse pubblicamente presentata dai costruttori ai loro clienti e successivamente normata, i progettisti e i quadristi non dovrebbero trovare motivi validi per non accettarla. Una volta chiarita la situazione, le relative responsabilità resteranno equamente e chiaramente distribuite.
A onor del vero dobbiamo dare riscontro di aver letto, già in una pubblicazione tecnica di un noto costruttore, la stessa identica procedura di selezione degli interruttori, che per il caso di nostro interesse è stata introdotta nella guida CEI 121-5. Ciò nulla toglie alle considerazioni già svolte. Ripetiamo che a nostro avviso questa procedura potrebbe risolvere il problema, se fosse ufficialmente validata, in quanto non poche perplessità rimangono da sciogliere, che siamo eventualmente pronti ad elencare e a sostanziare.
Giova anche ricordare in difesa degli interessi dei progettisti e quadristi che solo su nostra forte sollecitazione i normatori hanno accettato di introdurre nella guida CEI 121-5 la domanda – risposta n. 15, atta a trattare il problema che solo a noi evidentemente stava a cuore. Se non ci fossimo attivati presso il presidente del CEI, che ringraziamo, la domanda n. 15 con la risposta non avrebbe, riteniamo, trovato spazio nella guida (anno 2015 ). La procedura che la guida propone sembra rifarsi all’esperienza nordamericana, che permette ai progettisti una scelta normata dell’interruttore anche nei casi che qui in Italia ci mettono in difficoltà. I nostri dubbi sulla validità della procedura proposta si fondano sulla necessità di avere maggiori chiarimenti da parte dei costruttori, in quanto non ci pare possibile mutuare soluzioni che fanno capo a norme, che regolano la costruzione degli interruttori automatici, che sappiamo tutti essere ben diverse, e senza che tali soluzioni siano sostanziate da evidenze di laboratorio che garantiscano entrambe le prestazioni ( apertura e chiusura ) e di cui mai si detto e di cui mai siamo stati edotti.

Ing. Giancarlo Tedeschi