Il carbone pulito non è per niente pulito, il nucleare ha emissioni 35 volte superiori a quelle dell’eolico, i biocarburanti a base di etanolo, anche quelli ricavati dalla cellulosa dell’erba, al clima farebbero più male dei combustibili fossili tradizionali, oltre che alla salute umana, alle risorse idriche, alla fauna e al suolo.
Meglio puntare quindi su vento, sole, acqua. Sono queste, in sintesi, le conclusioni di un recente studio della Stanford University pubblicato sull’ultimo numero di Energy & Environmental Science.
Per valutare quali siano le fonti energetiche da preferire nel conto non ci sono solo le emissioni, ma anche le garanzie in fatto di sicurezza energetica, impatti sulla salute umana, sugli ecosistemi, sulle risorse idriche. “Review of solutions to global warming, air pollution, and energy security” – così si intitola lo studio curato da Mark Jacobson, ordinario di ingegneria ambientale e direttore del programma energia e atmosfera a Stanford – è la prima analisi quantitativa delle fonti alternative ai combustibili fossili tradizionali per cercare di stimare l’impatto a 360 gradi di ogni modo di produrre energia. Per confrontare le varie fonti, Jacobson ha cercato di stimare l’impatto di ciascuna come se fosse usata per soddisfare il fabbisogno energetico dell’intera flotta di veicoli degli Usa, ipotizzando che questa fosse costituita interamente da veicoli elettrici o flex-fuel, capaci cioè di funzionare anche ad etanolo.
I risultati ottenuti mostrano che alcune fonti di cui oggi si parla molto hanno in realtà ben poco da offrire per il futuro. Altre, invece sarebbero nettamente preferibili. Il modo più conveniente di produrre energia, tenendo conto di tutti gli aspetti, è risultato essere l’eolico. Seguono, nell’ordine, il solare a concentrazione, la geotermia, le maree, il solare fotovoltaico, l’energia dalle onde e l’idroelettrico. In fondo alla classifica si sono nucleare, carbone con tecnologia CCS, etanolo da granturco e etanolo dalla cellulosa dell’erba, che comportano un inquinamento atmosferico maggiore, hanno bisogno di superfici più ampie per essere utlizzate e, di conseguenza, danneggiana di più la fauna.
Guardando, ad esempio, alla superficie necessaria per soddisfare il fabbisogno energetico dei veicoli Usa, se con l’eolico basterebbe lo 0,5% del territorio nazionale, con l’etanolo servirebbe 30 volte più terra.
Per quanto riguarda l’inquinamento atmosferico, se l’eolico evita il 99% delle emissioni rispetto ai combustibili fossili tradizionali, con l’etanolo si debbono mettere comunque in conto i 15 mila morti all’anno in più dovuti all’inquinamento provocato dai veicoli.
Del nucleare lo studio mette in evidenza soprattutto i problemi di sicurezza, e come per il carbone pulito, anche i lunghi tempi necessari per realizzare una centrale, che si traducono in emissioni non evitate. Il carbone con “carbon capture” (CCS), infine, emette 110 volte più CO2 rispetto all’eolico: anche se la CCS abbattesse le emissioni della centrale dell’80-90%, bisogna comunque considerare quelle legate all’estrazione e al trasporto della risorsa.
Visto che un impianto con CCS ha bisogno del 25% di carbone in più per produrre la stessa quantità di energia rispetto ad uno senza, tali emissioni sarebbero appunto maggiori del 25%.
Parlando di energia, conclude lo scienziato presentando il suo lavoro, “la filosofia per la quale dobbiamo tentare un po’ di tutto è sbagliata. Occorre invece concentrarsi sulle tecnologie che producono i maggiori benefici. E noi sappiamo quali sono”. E, a proposito di energie rinovabili e infrastrutture alternative come stimolo economico, aggiunge: “mettere la gente al lavoro per costruire turbine eoliche, pannelli fotovoltaici, impianti geotermici, auto elettriche o nuove infrastrutture di trasmissione, non creerebbe solamente nuovi posti di lavoro, ma ridurrebbe i costi legati al sistema sanitario, all’agricoltura e al cambiamento climatico, dando nel contempo accesso a una riserva illimitata di energia pulita”.