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Un’impresa nata in Piemonte, cresciuta in Italia e con presenza consolidata a livello internazionale, viene riconosciuta e celebrata ufficialmente con l’ingresso nel Registro speciale dei Marchi Storici di Interesse Nazionale: Urmet, infatti, è ora una delle 785 imprese che hanno caratterizzato la storia imprenditoriale del nostro Paese, con i suoi prodotti iconici e i suoi brevetti internazionali.

Fondata a Torino nel 1937 come Società Anonima per l’“Utilizzazione e il Recupero del Materiale Elettro Telefonico”, Urmet è una multinazionale a capitale interamente italiano, azienda principale di Urmet Group, realtà mondiale con circa 2500 dipendenti.

L’azienda torinese si è da sempre distinta per la sua capacità di interpretare il cambiamento storico dei mercati e di essere protagonista delle rivoluzioni tecnologiche che si sono susseguite nei decenni: lo dimostrano i numerosi prodotti, alcuni anche brevettati, decisamente “pop” ed epocali.

Il telefono analogico Bca del 1949, consentendo a intere famiglie di rimanere in contatto tra di loro, aprì la strada ad un mondo più connesso; il primo citofono del 1958, a cui seguirà una produzione su larga scala, e il primo videocitofono nel 1965 segnarono l’inizio della cosiddetta “telefonia domestica” per controllare gli ingressi di un edificio, introducendo il concetto di “sicurezza residenziale”.

Sono prodotti “iconici” il primo telefono pubblico, introdotto nel 1964 e utilizzato da milioni di italiani per le chiamate urbane e interurbane. Pratico e robusto, con la caratteristica vernice martellata color nocciola, funzionava a gettoni (brevetto Urmet) e contribuì a cambiare radicalmente le abitudini telefoniche delle famiglie italiane. Con il progresso tecnologico, i gettoni telefonici furono progressivamente sostituiti dalle monete e successivamente dalla tessera prepagata, altro brevetto Urmet del 1982, che rappresenta una pietra miliare nella storia delle telecomunicazioni.

«Siamo onorati e orgogliosi per aver raggiunto questo importante traguardo che sottolinea la nostra storia e la nostra unicità – afferma Fiammetta Cometto, amministratrice delegata di Urmet Group -, consentendoci di raggiungere un’importante immagine nel panorama internazionale, identificando prodotti che incarnano l’essenza del Made in Italy e che sono diventati simboli dello stile italiano nel mondo. Il Marchio Storico premia dunque il ruolo avuto da Urmet per l’industria italiana ed il valore di un brand che ha sempre portato alta la bandiera della qualità e dell’eccellenza. Essere un marchio storico rappresenta una garanzia ulteriore anche per i nostri clienti».

Il Registro speciale dei Marchi Storici di Interesse Nazionale è stato istituito dal Decreto Crescita del 2019, convertito in legge con modifiche nel giugno dello stesso anno, e prevede che i titolari o licenziatari esclusivi di marchi d’impresa registrati da almeno cinquanta anni, utilizzati per la commercializzazione di prodotti o servizi realizzati in un’impresa produttiva di eccellenza storicamente collegata al territorio nazionale, possano ottenere l’iscrizione del marchio nel registro dei marchi storici di interesse nazionale, istituito presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi.

Attualmente, i marchi storici iscritti al Registro sono 785, di cui 321 legati al settore alimentare: da una recente ricerca sviluppata da Cribis, risulta che le aziende italiane costituite da almeno 50 anni siano oltre 77mila, di cui quasi il 40% è ubicato nel Nord Ovest d’Italia (24,7% in Lombardia, 10,8% in Piemonte, il resto suddiviso fra Liguria e Valle d’Aosta) e solo il 2,85% costituito nel decennio 1931-1940.

Urmet rappresenta dunque un’eccellenza assoluta nel novero dei Marchi Storici: sono pochissime, infatti, le aziende del settore elettrotecnico ed elettronico presenti nel Registro, e Urmet è una di queste. Lo spirito della società è ben sintetizzato da questa frase attribuita a Massimo Mondardini, presidente Urmet fino al 2015 e figlio di uno dei fondatori, Alfiero Mondardini: «Vi sono ancora realtà industriali che sanno dare battaglia, soffrire, operare e accettare i rischi e le sfide. È di questo che ha bisogno il nostro Paese».