Immaginando il caso non raro di un datore di lavoro insediato con i suoi dipendenti su una specifica porzione di un impianto elettrico esistente, senza fornitura autonoma ma alimentato dalla unica fornitura (ad esempio il primo piano di una palazzina uffici data in comodato ad altra ditta, oppure uno dei capannoni di un complesso industriale alimentato da unica fornitura, o ancora il caso di un container uffici di pertinenza di un fornitore insediato all’interno di un cantiere, ospedale, ecc…), vi chiedo come il datore di lavoro “ospitato” possa ottemperare al DPR 462/01, quale possa essere la topologia della verifica e su quale parte di impianto è bene estendere, e non in ultimo come applicare il tariffario (art 7bis) per il quale è prassi consolidata ricavare la potenza installata dalla potenza disponibile indicata in bolletta.
Ing. Stefano Scarpa
Una doverosa premessa: la situazione impiantistica prospettata, pur molto diffusa, è in aperto contrasto con le prescrizioni dell’authority in materia di forniture (Delibera 21 dicembre 2017 894/2017/R/eel “clienti finali nascosti” LINK). Al netto di questo, la verifica deve essere estesa a tutte le aree di competenza del datore di lavoro committente. Nel caso diffuso della verifica di una parte minimale di un impianto esteso, è logico fare riferimento alla documentazione dell’impianto a monte (ad esempio, per il bar di un ospedale, sistema TN, è preferibile ricavare il valore della resistenza di terra dal verbale dell’ospedale e accertare semplicemente l’unicità del dispersore con prove di continuità, piuttosto che eseguire una misura voltamperometrica).
Per quanto riguarda il tariffario, non avendo una bolletta a riferimento, è ragionevole calcolare l’importo sulla potenza disponibile ricavata dalla dichiarazione di conformità o, eventualmente dalla “taglia” dell’interruttore generale dell’impianto oggetto della verifica.